Introduzione alla Pittura Aborigena

Quando i primi esploratori europei in Australia videro l’ornitorinco, strano essere che sfuggiva alle loro classificazioni, credettero che si trattasse di una sorta di castoro al quale qualche buontempone aveva attaccato un becco. Prima di riconoscere la sua radicale alterità rispetto agli animali noti – e di rivedere l’intera classificazione dei viventi – per decenni gli scienziati si sforzarono di dimostrare che si trattava di una variante deforme di qualche specie già documentata.
Come il buffo ornitorinco e come tante altre realtà naturalistiche ed etnografiche tipiche dell’Australia, anche la pittura aborigena mette in crisi la forma mentis occidentale. Per comprenderla, occorre accettare la sua diversità e avere l’umiltà di dimenticare le categorie mentali cui si è abituati. La pittura aborigena, infatti, richiede all’osservatore occidentale un profondo cambiamento di prospettive, tanto in senso metaforico quanto in senso fisico. Basti pensare al fatto che gran parte dei quadri non ha un alto e un basso, né è concepita per essere osservata frontalmente; evoluzione dei dipinti su sabbia, queste opere sono realizzate al suolo e andrebbero viste da ogni lato, posate a terra e camminando loro attorno. Altri dipinti, che riproducono le decorazioni tradizionali realizzate sui corpi in occasioni di riti e feste, dovrebbero invece essere osservati in movimento, quasi danzando, come danzano e si muovono gli aborigeni che portano le stesse forme disegnate sulla pelle.
Ovviamente non solo le coordinate fisiche della fruizione, ma anche quelle mentali della comprensione richiedono un adattamento alle specificità delle opere aborigene.
La pittura aborigena è insieme una pratica rituale e una forma di scrittura e di narrazione, inserita in una cultura che da 40.000 anni non distingue la storia dalle leggende, la medicina dalla magia, la topografia dalla geografia mitica, l’aspetto esterno dei corpi dall’anatomia degli organi interni. Quelle che per gli occidentali sono diverse forme del sapere, spesso tra loro in contrasto, per gli aborigeni costituiscono un’unica realtà armonica. Solo avendo coscienza delle caratteristiche della antica cultura australiana si possono comprendere i dipinti che raffigurano animali visti “ai raggi X”, vivi ma con lo scheletro e gli organi interni visibili e ben definiti; o si può comprendere perché gli aborigeni presentino come mappe quadri che, secondo la nostra mentalità, non assomigliano a nessun luogo: le loro mappe, infatti, raffigurano simultaneamente la funzione che i diversi posti rivestono nella vita e negli spostamenti delle popolazioni, la storia dei luoghi, le leggende che vi sono ambientate e perfino le forze divine che li hanno creati. In questa visione del mondo fluida e unitaria, espressa con la leggerezza di colori ipnotici e di forme tanto semplici da risultare archetipiche, risiede il fascino dell’arte aborigena; da qui si origina l’attrazione misteriosa che essa esercita sulla parte più antica della nostra anima.

Roberto Mottadelli